La notizia forse non è più tale, ma continua a suscitare scalpore: in Sicilia 25 ragazzi su 100 abbandonano le scuole superiori, come riporta la “mozione dell’Assemblea regionale per la salvaguardia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. Lo stesso documento sottolinea l’allarme lanciato dal “primo posto” in Italia per quanto riguarda la percentuale di bambini poveri. Ben il 40% in Sicilia vive sotto la soglia della povertà. I due dati non possono essere slegati ed è chiaro che le difficoltà economiche spingano gli adolescenti a cercare un lavoro per contribuire al proprio sostentamento, laddove il reddito familiare non basti. Questo però ha comportato lo svilupparsi di un’imponente massa di giovani con la sola licenza media, spesso ricevuta in “dono”, più che conquistata. La situazione è grave, perché il sottosviluppo del Sud Italia passa anche dalla scarsa potenzialità culturale delle nuove generazioni.
Se ciò non bastasse, da diversi anni si segnala un abbassamento del livello di autorevolezza (non per sua colpa) del ruolo dell’insegnante, sempre più spesso sopraffatto dall’atteggiamento superbo e maleducato di gruppi di studenti, se non di intere classi. Tale atteggiamento è reso possibile dalla complicità dei genitori, che invece di solidarizzare con i professori, per meglio raggiungere l’obiettivo di educare i giovani, preferiscono schierarsi dalla parte dei figli, memori della loro scarsa volontà tra i banchi di scuola.
La situazione legata al percorso universitario è controversa. Spesso si sente dire che oramai una laurea la posseggano tutti e che quindi questa perda di valore, eppure l’Italia ha un numero di laureati all’anno inferiore alla media europea.
Per porre rimedio alla questione legata alla povertà minorile e alle conseguenze dell’abbandono scolastico sono stati creati corsi di formazione, call center, l’albo dei difensori legali specializzati, si è posta maggior attenzione all’affidamento dei minori e accesi i riflettori sulle carceri minorili.
E’ chiaro che tutto ciò non stia bastando è che forse sarebbe auspicabile un titolo di studio obbligatorio anche per i genitori, spesso i veri responsabili dell’abbassamento del livello sociale.
Dall’altra parta, vanno anche ricordati quanti, in questa difficile situazione sociale, riescono a emergere col sacrificio e l’impegno, grazie a famiglie sane (soprattutto culturalmente) capaci di non inculcare ai figli l’idea che un lavoro facile e poco remunerato sia maggiormente proficuo per la propria vita, rispetto all’accrescimento come essere umano.